ChatGPT? Chiediamole tutto, tranne intuito e creatività: l’io non può essere sostituito dall’IA

Avete presente Stephen King? Certo, chi non lo conosce. Alzi la mano però chi è al corrente del fatto che oltre ad aver scritto una quantità impressionante di romanzi di successo ha fatto anche il regista. La cosa è sconosciuta ai più forse perché ha diretto un solo film, Maximum Overdrive, cult movie del 1986 (uscito nelle sale italiane con il titolo “Brivido”) tratto da un suo breve racconto distopico in cui le macchine si ribellano all’uomo. Una delle scene più iconiche vede King stesso nei panni di un tizio alle prese con un bancomat che si rifiuta di erogare il denaro e, non contento, lo insulta pure, facendo comparire sullo schermo una frase piuttosto colorita, che non è il caso di riportare.

Cosa c’entra con Chat GPT? C’entra eccome, in quanto simboleggia il timore che questa neonata forma di intelligenza artificiale, in grado, per dirla in modo super semplificato, di scrivere, e di farlo bene, una volta cresciuta abbastanza possa diventare nostra nemica. In che modo? Certo, non come accade – giusto per citare un altro film – in Matrix, dove l’AI prende il sopravvento sull’uomo e lo schiavizza, ma comunque arrecando un danno, nel caso specifico facendo tabula rasa di copy e giornalisti.

Poniamoci però una domanda: quanto di “umano” c’è in molti testi scritti da persone in carne e ossa che leggiamo oggi soprattutto in rete? Pochino. Succede spesso infatti che chi scrive si riduca ad asportare pezzi dai contenuti posizionati meglio e, permetteteci il neologismo, a “frankesteinizzarli”, cioè a unirli in modo raffazzonato, con risultati assai discutibili. Risultati che affidandosi all’intelligenza artificiale di ChatGPT sarebbero senz’altro migliori, a patto, ovviamente, di usarla con… intelligenza. Come? Per esempio, chiedendole di individuare tutti gli argomenti in cui si articola il tema da trattare, interrogandola poi su ciascuno di essi e infine rielaborando le risposte secondo una forma corretta e “umanizzata”. Considerare questo chatbot una sorta di motore di ricerca avanzato? La chiave potrebbe essere proprio questa, a maggior ragione perché Google ha già cominciato a incorporarne le tecnologie.

Giungendo a noi, possiamo dire che in Care ricorriamo a ChatGPT solo quando è strettamente necessario e secondo l’approccio appena descritto, ovvero senza pretendere di trovare in essa intuito e creatività: riteniamo che quel meraviglioso organo grigio splittato in due emisferi che dialogano tra loro resti insostituibile.

In conclusione, possiamo tranquillamente affermare che per noi l’io continua a essere meglio dell’IA. I nostri racconti di marca e prodotto, e in generale tutti i contenuti che escono dalle teste dei nostri writer, ambiscono, non a caso, a distinguersi: ogni “penna” di Care ha la sua storia, il suo background, il suo stile, le sue passioni e, prima di tutto, sa quanto sia importante riuscire a vestire la comunicazione di emozione. Cosa diceva quel bellissimo claim di alcuni anni fa? “Senza cuore saremmo solo macchine”. Ecco, appunto.

Care - ChatGPT